• 12/07/2016 alle 08:58

    Alcuni concetti sulla Soglia Anaerobica; Cos’è la soglia anaerobica e come si calcola: soglia anaerobica ventilatoria, soglia anaerobica delle 4 mmoli, relazione di Mognoni-Cerretelli. L’importanza del calcolo della soglia anaerobica

    A cura del Dott. Scorsone

    Alcuni concetti sulla Soglia Anaerobica

    La soglia anaerobica è una stima della capacità di sostenere un esercizio prolungato. Il suo valore indica la massima intensità di esercizio corrispondente ad un livello costante nella concentrazione ematica di lattato (circa 4mmoli/litro).

    La soglia anaerobica rappresenta, altresì, il punto di attivazione massiccia del meccanismo anaerobico, cioè quel punto di demarcazione fra esercizio moderato ed intenso. Oltre questo punto la produzione di anidride carbonica (CO2), la ventilazione (atti respiratori al minuto), ed il livello di acido lattico prodotto crescono rapidamente.

    In molti casi è preferibile misurare la soglia anaerobica rispetto al VO2max. Infatti negli atleti il massimo consumo di ossigeno sale all’inizio degli allenamenti poi non aumenta più. Quello che si modifica è la percentuale di VO2max che può essere sostenuto a lungo. Inoltre la soglia anaerobica in molte discipline di endurance si correla meglio con la prestazione, costituendo così un miglior indice di potenza aerobica.

    Nei soggetti non allenati, se rapportata con il massimo consumo di ossigeno, la soglia anaerobica coincide approssimativamente con il 55% del VO2max. In atleti di alto livello tale valore può invece raggiungere l’85% del massimo consumo di ossigeno.

    Per esprimere il concetto in altri termini non è detto che un motore da 1000 cc di cilindrata (VO2 max minore) sia meno prestante di un 1300 cc (VO2max maggiore) poiché molto dipende dalla capacità di bruciare benzina (riserve energetiche), dal peso (percentuale di grasso corporeo), dall’aerodinamica (efficacia del gesto atletico) e dalla resistenza all’usura (percentuale di VO2 max sostenibile a lungo).

    Carichi uguali o vicini al VO2 max possono essere sostenuti dall’atleta solo per pochi minuti, questo perché, a quelle intensità di lavoro si va rapidamente incontro a saturazione muscolare di acido lattico. Esiste un’intensità ben precisa, frazione del VO2 max oscillante in base alle caratteristiche dell’atleta fra il 60-90%, che può essere mantenuta a lungo senza che si verifichi la fatica indotta dall’acido lattico. Questa intensità critica viene appunto definita soglia anaerobica. In altri termini per intensità di lavoro (che può venire espressa in % di VO2 max, velocità di progressione di corsa, in bicicletta o di nuoto, valore di frequenza cardiaca), al disotto della soglia, si ha un aumento della concentrazione dell’acido lattico rispetto a quella di riposo, ma una volta raggiunto un punto di equilibrio, tanto acido lattico si forma tanto ne viene metabolizzato, per cui non si ha accumulo.

    Per carichi di lavoro superiori a quelli di soglia, l’energia richiesta non può essere comunque fornita solo dal sistema aerobico per cui non si crea mai un equilibrio fra acido lattico prodotto e metabolizzato, causando così accumulo con una continua crescita della concentrazione di acido lattico e conseguenti fenomeni di fatica muscolare.

    Quindi la definizione di soglia anaerobica può essere semplicemente:

    massimo carico di lavoro che può essere sostenuto da un atleta per tempi prolungati senza che ciò comporti l’accumulo di acido lattico

    Per un atleta di resistenza, conoscere il proprio valore di soglia significa sapere la velocità di corsa oltre la quale rischia la “fatica” e quindi diminuisce il rendimento di gara. Ben si capisce come questo dato sia fondamentale per impostare sia il tipo di allenamento che la tattica di gara. L’unico metodo veramente attendibile per misurare la soglia anaerobica in laboratorio consiste nel sottoporre l’atleta ad un carico di lavoro costante per almeno 30′ e misurare l’andamento della lattacidemia (il livello di acido lattico nel sangue); la prova va ripetuta aumentando il carico, sino ad arrivare all’intensità di lavoro che innesca i fenomeni di accumulo dell’acido lattico. Chiaramente questa metodica non è proponibile come test di routine in laboratorio, ma ha valore solo a fini di ricerca in quanto necessita di lunghi, numerosi, ravvicinati e faticosi test da sforzo.

    Alcuni concetti sulla Soglia Anaerobica

    Libania Grenot, nella foto su indicata, oro agli europei 2016. I 400 metri piani sono un chiaro esempio di soglia anaerobica. Ad un certo punto, per tutti i 400metristi, subentra il lattacido

    Soglia anaerobica ventilatoria

    Più di 30 anni fa Wassermann – facendo riferimento ad un precedente lavoro di Hollman del 1959 propose una metodica basata sulla relazione fra carico di lavoro (espresso abitualmente in % del VO2 max) e ventilazione polmonare: tale relazione è lineare per carichi di lavoro al di sotto della soglia. Quando inizia l’accumulo di acido lattico la conseguente acidosi metabolica attiva l’intervento dei sistemi tampone (carbonato/bicarbonato) che bloccano l’acidità formando CO2, eliminata per via respiratoria: ciò causa una brusca impennata della ventilazione.

    Soglia anaerobica delle 4 mmoli

    Mader, nel 1976, ha proposto di considerare raggiunta la soglia anaerobica quando la concentrazione dell’acido lattico raggiunga e superi le 4 millimoli per litro. Questo è un metodo molto semplice, nel senso che è operatore indipendente, ma si è visto che abbastanza frequentemente alcuni atleti, pur raggiungendo e superando le 4 millimoli, non presentano accumulo di acido lattico.

    Come detto, conoscere la soglia ha un’immediata ricaduta pratica sulle metodiche di allenamento, e quindi test da campo che ne permettano la misura sono visti con molto interesse da atleti e tecnici. I già ricordati strumenti portatili per la determinazione della lattacidemia consentono di effettuare il test di Mader sul campo, rendendo però necessari prelievi ematici dopo ogni prova.

    Relazione di Mognoni-Cerretelli

    Gli autori hanno ricavato una relazione matematica ad alta significatività statistica fra la concentrazione di lattato al termine di una corsa di 6 minuti a velocità costante di 13.5 km/h e la velocità di corsa alla quale il lattato è pari alle 4 millimoli /l, indice di raggiungimento della soglia anaerobica.

    In pratica si sottopone l’atleta ad un unico test di durata di 6 minuti a velocità costante di 13.5 km/h, alla fine si misura la concentrazione di acido lattico che viene inserita nella formula:

    Velocità 4mM (km/h) = 27.94 – 4.86 [ac. Lattico] + 0.32 [ac. Lattico]2

    Una volta determinata la velocità di soglia si fa correre l’atleta a tale valore misurandone la frequenza cardiaca.

    A conferma della difficoltà di un’univoca misura e valutazione della soglia anaerobica, alcuni autori (Keul 1979, Stegmann 1981, Bunc 1982) hanno anche introdotto il concetto di soglia anaerobica individuale cercando di individuare le concentrazioni di acido lattico alle quali ogni singolo atleta inizia ad accumulare lattato.

    Ricordiamo comunque che l’accumulo di acido lattico, se superiore a certe concentrazioni, rappresenta certamente un limite alla prestazione aerobica, ma i massimi valori di potenza aerobica on possono essere raggiunti se non è presente una certa quantità di acido lattico che ha i seguenti effetti:

    Aumento del rilascio di O2 da parte della emoglobina (Hb)

    Il rilascio di O2 dalla Hb avviene per carichi di lavoro:

    • Sotto la soglia: per diminuzione della pressione di O2
    • Sopra la soglia: per spostamento della curva della Hb dipendente dall’aumento degli ioni H+ (effetto BOHR) causato dall’acido lattico

    Emoconcentrazione da aumento dell’osmolarità

    L’aumento di concentrazione dell’acido lattico all’interno della cellula causa un’aumentata osmolarità del comparto intra-cellulare. A compenso acqua affluisce dagli spazi extra-cellulari e quindi anche dal plasma, dove si verifica un emoconcentrazione con una maggiore disponibilità di O2.

    Vasodilatazione locale da acidosi

    L’acidosi causata dal lattato ha un effetto vasodilatatore nei vasi sanguigni dei muscoli che lo producono. Questa vasodilatazione favorisce un migliore apporto ematico e quindi un aumento del consumo di O2.