• 13/07/2016 alle 20:29

    ORIGINE PSICOFISIOLOGICA DELLE EMOZIONI      Da dove nascono le emozioni? Nel corso degli anni si sono susseguite diverse teorie: James, Damasio, Cannon, fino alla teoria di Schachter e Singer. Analisi di arousal e processi cognitivi. Le teorie dell’Appraisal

    ORIGINE PSICOFISIOLOGICA DELLE EMOZIONI

    ORIGINE PSICOFISIOLOGICA DELLE EMOZIONI

    Da dove nascono le emozioni? Da un mondo esterno a noi o da un mondo inconscio, situato negli abissi più profondi e remoti della nostra totalità?

    Ci sono diverse teorie classiche che parlano della loro genesi. William James, psicobiologo, nel 1884 con riferimento alla neurofisiologia, definiva l’emozione come il provare e sentire i cambiamenti neurovegetativi che, hanno luogo a livello viscerale a seguito dello stimolo.

    Su questo punto pertanto, “non tremiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché tremiamo”e “non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo”. Secondo James, quindi l’evento emozionale determina una serie di reazioni viscerali che vengono avvertite dal soggetto, pertanto l’emozione sarebbe la conseguenza piuttosto che l’antefatto dei cambiamenti periferici. Ciò costituisce il punto più importante della teoria periferica dell’emozione, o teoria del feedback. In seguito però, questa teoria non ricevette abbastanza credito nel campo della psicologia. La prospettiva periferica di James, furivisitata da Antonio Damasio (Damasio, 2000), in quanto, secondo l’autore, proponeva un radicale dualismo tra mente e corpo. Egli propose invece, una concezione unitaria dell’organismo tramite una “mentalizzazione del corpo” e una “somatizzazione della mente”

    . Le emozioni sono dei processi mentali che hanno come teatro il nostro corpo, delle condotte rappresentative di adattamento di un individuo. Al pari di James, Damasio pone grande attenzione al sentimento, che non coincide con l’emozione ma, si aggiunge ad essa e consente di “sentirla” consapevolmente. I sentimenti di base partecipano alla costruzione della coscienza di sé e per diventare consapevoli richiedono una rappresentazione a 360 gradi della situazione.

    Un secondo autore che non condivise la teoria di James, fu Cannon (Cannon, 1927), in quanto, i visceri hanno scarsa sensibilità e riposte troppo lente per poter essere la risorsa principale delle emozioni. Egli perciò, propose la teoria centralista dell’emozione, ovvero che la sede centrale di controllo e regolazione dell’emozione, è localizzata più a livello centrale, nella regione talamica. Il talamo è una struttura pari situata nel diencefalo (sistema nervoso centrale) costituito da nuclei talamici, con cui stabilisce moltissime connessioni con la corteccia cerebrale. Questo centralino, stimola organi e i muscoli e rimanda le informazioni alla corteccia che, a sua volta attiva i processi talamici che agiscono in quella determinata area, corrispondente ad una specifica emozione.

    Pertanto “non si ha paura perché si fugge, ma si fugge perché si ha paura”. Si tratta quindi di un dualismo di concezioni opposte in quanto James, voleva dimostrare che le emozioni risiedono più in periferia mentre Cannon, afferma che le emozioni risiedono nel nostro cervello. In conclusione, entrambi nel loro intento, hanno colto degli aspetti specifici della vita emotiva, ma non sono arrivati a cogliere la complessità che vi si cela dietro a queste emozioni. È il turno di Schachter e Singer con la teoria attivazionale (o teoria dei due fattori), che nel 1962 contribuì ad introdurre una versione nuova (più psicologica) di emozione. Secondo i due autori, vi sono due componenti principali:

    • L’Arousal2, in altre parole stato di attivazione fisiologica diffusa nel nostro organismo generato da una condizione di eccitazione particolare (per esempio quando siamo sotto stress, un esame, una gara etc…)
    • Processi cognitivi, di natura psicologica, necessari ai fini dello stato emotigeno

    Queste due entità non sono nettamente separate tra di loro, ma devono essere connesse secondo uno schema.

    Gli autori sostengono che, in base al contesto sociale, mettiamo l’etichetta paura, rabbia, tristezza, amore o gioia su uno stato e questo etichettare, serve a indicare l’emozione provata. Si avranno diverse emozioni in base all’attivazione fisiologica, che si verifica durante il tipo di evento: paura in una situazione di pericolo e tristezza per un momento malinconico. Tale concezione bifattoriale costituisce una svolta, perché individua nell’elaborazione cognitiva un aspetto rilevante per la vita emozionale.

    Da qui prendono spunto le teorie dell’Appraisal3. Secondo tali teorie, le emozioni sarebbero l’interpretazione che una persona fa di un evento in base al proprio stato di benessere. Ovvero le emozioni dipendono dal modo in cui gli individui valutano gli stimoli. Uno stimolo quindi, può essere elaborato in maniera differente, da una persona all’altra e scaturire emozioni diverse. Pertanto le emozioni appaiono come risposte soggettive dotate di flessibilità di fronte a differenti situazioni.

    Eventi che mettono in pericolo i propri interessi, attivano emozioni negative; eventi che soddisfano i nostri obiettivi, generano emozioni positive; eventi inattesi inducono a stupore e sorpresa. Le teorie dell’Appraisal, pongono rilevanza per la prospettiva dimensionale delle emozioni. Secondo questo punto, le emozioni rappresentano dei mediatori tra mondo interno ed esterno e variano secondo alcune dimensioni continue quali la piacevolezza o meno (valenza endonica4), la novità di eventi elicitanti, il grado di controllo e la compatibilità con regole sociali di riferimento.

    Con questa linea concettuale, le teorie dell’Appraisal affermano che ci sono dimensioni diverse che sottendono una emozione, poiché ognuna è caratterizzata da un sistema criteriale5 ben preciso di valutazione.

    Autore: Dottoressa Marilena Cenzon