• 13/07/2016 alle 17:56

    Medicina Sportiva: Accenni su Ipertensione Arteriosa ;  Che cos’è l’ipertensione arteriosa? Eziologia dell’ipertensione arteriosa. Tabella per la valutazione dell’ipertensione arteriosa. Ipertensione arteriosa e fattori di rischio.

    A cura della Dott.ssa A. Silenzi

    Medicina Sportiva: Accenni su Ipertensione Arteriosa

    Medicina Sportiva: Accenni su Ipertensione Arteriosa

    L’ipertensione arteriosa rappresenta probabilmente il più importante problema di sanità pubblica nei paesi industrializzati: è frequente, non determina sintomi, è di facile diagnosi, viene di solito controllata con semplici interventi terapeutici, ma provoca spesso complicanze mortali se viene trascurata. L’esteso programma sanitario che ha coinvolto tra la fine degli anni ’60 e negli anni ’70 strutture pubbliche e private, ha avuto come risultato, alla fine degli anni ’80, la riduzione, pari a circa il 25%, del numero dei pazienti ipertesi non identificati e/o non sottoposti a terapia, con conseguente calo della mortalità cardiovascolare.

    Questo intervento è stato probabilmente uno dei più importanti fattori responsabili della riduzione della mortalità cardiovascolare che si è osservata nel corso degli ultimi venti anni.1

    Nonostante i progressi compiuti nella fisiopatologia dell’ipertensione, tuttavia nel 90-95% dei casi l’eziologia di tale processo patologico è ancora sconosciuta, essendo estremamente difficile identificare il meccanismo o i meccanismi che ne sono responsabili2.

    In questi casi, in cui l’ipertensione non può essere considerata parte o conseguenza di un’altra malattia, si parla di “Ipertensione Essenziale”, termine la cui introduzione risale al 1911 e che denota la natura costituzionale o primitiva dell’ipertensione arteriosa2.

    Come forme secondarie vengono definite, invece, quelle ipertensioni che si possono considerare il risultato di una determinata malattia o dell’alterazione di un determinato fattore e in cui spesso, anche se non sempre, l’abolizione della malattia o l’eliminazione del fattore portano alla scomparsa dell’ipertensione.

    L’ipertensione secondaria comprende il 5-10% dei casi di ipertensione arteriosa.

    L’assenza di una soglia, al di sotto della quale la pressione arteriosa non sia più legata ad eventi cardiovascolari, e, nello stesso tempo, la distribuzione continua dei valori della pressione in una popolazione, rendono assai difficile la definizione di ipertensione arteriosa, tanto che Rose ha suggerito di definirla come

    quel livello di pressione, al quale e al di sopra del quale, il trattamento fa più bene che male

    Poiché non esiste una linea naturale di demarcazione tra pressione arteriosa normale e ipertensione, l’unica classificazione possibile consiste nel definire normali quei valori pressori che non sono associati ad un aumento clinicamente importante del rischio cardiovascolare e nel definire alti, quei valori che sono già chiaramente associati ad un aumento di tale rischio.

    Questo approccio pratico, basato su valori di PA, lascia un orizzonte di valori intermedi che non possono essere definiti né normali né elevati e quindi associali ad un alto rischio. Essi vengono quindi classificati come Ipertensione di Confine.

    La classificazione dei livelli di pressione arteriosa proposta è rimasta invariata dal 2003 al 2007 (ESH/ESC linee guida) dove l’ipertensione è definita tale per valori = 140 mmHg PAS e / o = 90 mmHg PAD3, 4.

    Sistolica * Diastolica *
    Ottimale >120 e >80
    Normale 120/129 e/o 80-84
    Normale – alta 130-139 e/o 85-89
    Ipertensione di grado 1 140-159 e/o 90-99
    Ipertensione di grado 2 160-179 e/o 100-109
    Ipertensione di grado 3 ≥180 e/o =110
    Ipertensione sistolica isolata ≥140 e <90
    * mmHg
    Definizione e classificazione dei livelli di pressione arteriosa, ESH and ESC Guidelines

    Oltre alla classificazione in gradi, per quanto riguarda l’ipertensione arteriosa, il clinico dovrebbe individuare la possibile presenza di danno d’organo, i principali fattori di rischio e la presenza di malattie concomitanti, importanti per la stratificazione in classi di rischio e per il trattamento5.

    Le complicanze dell’ipertensione arteriosa possono, infatti, manifestarsi in diverse aree dell’organismo: a livello cerebrovascolare (attacco ischemico transitorio [TIA], ictus cerebrale), cardiaco (angina pectoris, infarto del miocardio, morte cardiaca improvvisa, scompenso cardiaco), vascolare periferico (arteriopatia occlusiva, aneurisma), renale o retinico.

    Il danno vascolare degli organi bersaglio progredisce nei vari soggetti ipertesi con diversa velocità, per cui si possono avere individui con valori pressori molto elevati (e perciò ad alto rischio) e con danno d’organo ancora limitato e soggetti con marcato danno cardiovascolare, nonostante l’aumento pressorio sia solo moderato6.

    Se il rischio medio di complicanze cardiovascolari nei pazienti ipertesi è di circa 2 per 100 per anno, individui con identici livelli di PA possono differire in misura anche notevole in termini di rischio cardiovascolare in ragione della diversa distribuzione dei fattori di rischio concomitanti (fumo di sigaretta, diabete mellito, assetto lipidico, familiarità per malattie cardiovascolari, danno d’organo etc.).

    Da quanto detto, emerge sempre più la necessità di valutare il paziente iperteso in maniera globale, con un approccio metodologico il più completo possibile, nella prospettiva di una prevenzione efficace.